Rooming-in? No grazie, lasciamo stare le madri

Il "rooming-in" è una pratica di allattamento al seno che consiste nell'avere il neonato con la madre in camera d'ospedale per tutta la durata del ricovero. L'idea alla base di questa pratica è quella di promuovere un'intimità e un legame immediato tra madre e figlio, e di facilitare l'allattamento al seno.

Oggi se ne parla tanto innanzitutto perché la colpevolizzazione delle madri va sempre di moda, il rooming-in non è nient'altro a mio parere se non un'altra declinazione della violenza ostetrica e del patriarcato in generale. Ma qui si aprirebbe un discorso troppo ampio, mi limiterò a parlare di questa "pratica" che sarebbe meglio definire follia ideologica.   

Nonostante la sua popolarità, specie fra le associazioni antiabortiste, la pratica del "rooming-in" non ha alcun fondamento scientifico. Non esiste infatti alcuno studio che dimostri che questa pratica sia più efficace rispetto ad altre forme di allattamento al seno, che sia più salutare per il neonato, che sia necessaria e che in effetti favorisca la creazione del legame fra madre e neonato più di altre tecniche.

Alcuni studi hanno dimostrato che il "rooming-in" può essere persino dannoso per la madre e il neonato. In uno studio del 2011 ad esempio si è rilevato che le madri che avevano il neonato in camera con loro avevano una minore quantità di sonno rispetto a quelle che avevano il neonato in nursery, e non si è osservato nessun incremento nella soddisfazione materna o nella creazione del legame con il neonato/a. 

Inoltre, ci sono anche alcune preoccupazioni per quanto riguarda l'impatto del "rooming-in" sulle madri che soffrono di disturbi psichiatrici,di disturbi del sonno, disturbi d’ansia, o che hanno bisogno semplicemente di riposo o di assistenza supplementare durante il periodo postpartum. 

Anche la prospettiva biologica ci aiuta a capire la follia di questa pratica. L'homo sapiens "produce" la propria prole in uno stato prematuro e il parto è estremamente doloroso e invalidante per la madre. A differenza di altri piccoli mammiferi che per difendersi dai predatori imparano subito a correre, il piccolo umano è inerme e l'aiuto di una sola persona debilitata può non essere sufficiente. Occorrono anni di cure costanti, nessun altro essere vivente deve occuparsi della propria prole impiegando così tanta fatica e per così tanto tempo. Questa visione ci aiuta a capire che l’idea di forzare la vicinanza fisica fra madre e neonato/a allo scopo di instaurare un legame è quantomeno assurdo. Il legame madre-neonato/a si costruisce in anni di cura, attenzione, amore, parole, affetto. Se il rooming-in fosse davvero necessario dovremmo cestinare più di mezzo secolo di studi sulla psicologia dello sviluppo e sulla teoria dell’attaccamento, così come il lavoro di pionieri come Jean Piaget, Vygotsky, Bruner, solo per citare alcuni fra i più influenti studiosi della psiche umana. 

In conclusione, il "rooming-in" è una pratica che, nonostante la sua popolarità, non ha fondamento scientifico e può addirittura essere dannosa per la madre e il neonato. Le madri possono discutere con il proprio medico o con un professionista della salute e decidere liberamente l'approccio adatto a loro per l'allattamento al seno e la cura del neonato.

Le madri e le donne soffrono già troppi giudizi e pressioni dalla società patriarcale, forzare pratiche di accudimento piuttosto che pensare a dibattiti sulla psicologia dello sviluppo mi fanno prima pensare al “Racconto dell’ancella”.

Bibliografia:

1 “The effects of rooming-in and mother-infant separation on breastfeeding and maternal well-being” di J.F. Hogenkamp, H.C. van der Pal-de Bruin, M.J. Schetters, M.C. de Vries e J.G. Nijhuis-van der Sanden

Indietro
Indietro

Perchè l’ansia aumenta la sera o il mattino?

Avanti
Avanti

Ansia generalizzata, cos’è e come superarla